mercoledì 30 maggio 2012

Sugli Eurobond


Questo articolo uscito oggi su il manifesto col titolo "La finta panacea degli Eurobonds per un'europa a corto di idee" si collega agli ottimi interventi di Marco d'Eramo, una delle voci più lucide di questo paese, sopratutto nel denunciare il disperante provincialismo del dibattito italiano. Non concordo completamente con lui, tuttavia, quando individua i problemi europei in un deficit di democrazia e la soluzione in una sinistra europea. Purtroppo questi richiami lasciano il tempo che trovano e rischiano di essere anch'essi un deus ex machina. Purtroppo la materialità, come cerco di spiegare sotto, è che in un'Europa solidale i tedeschi pagano, una volta che la periferia cedendo lo strumento del cambio ha perso la propria capacità di autosostenersi senza aiuti esteri. Questo è il puzzle. Dobbiamo inventarci qualcosa, ma non so cosa. Intanto la Spagna si avvia a diventare il quarto paese europeo fuori mercato. Evidentemente la storia, a passi veloci, sta trovando le soluzioni per noi.
La pezza degli Eurobonds
Sergio Cesaratto 
Alla ricerca di un’ancora che la porti fuori dalla crisi, l’Europa progressista si è di nuovo aggrappata all’idea degli eurobond che, eclissatasi per un po’, è stata ora rilanciata da Hollande. L’opposizione tedesca non appare, tuttavia, a mio avviso del tutto ingiustificata - sebbene questo non scagioni la Germania dalla responsabilità di proporre alternative al suicidio dell’Europa. La richiesta disperata del non certo acuto leader spagnolo Rajoy di un intervento della BCE a sostegno dei debiti sovrani ci appare invero come una misura immediata più fattibile e imprescindibile. Infatti una socializzazione europea dei debiti sovrani, mentre comporterebbe un aggravio di spesa per interessi per la Germania, non porterebbe alla lunga a una significativa riduzione di quelli che mediamente verrebbero pagati sulla parte dei debiti europeizzata, lasciando inoltre alla mercé dei mercati la parte eccedente. Questo per due motivi: (a) continuerebbe a mancare un ruolo della BCE quale garante di ultima istanza dei debiti sovrani sia con riguardo alla parte messa in comune che, tantomeno, di quella rimasta nazionale; i mercati continuerebbero dunque a dettare i tassi di interesse; (b) i problemi di fondo che hanno generato la crisi europea rimarrebbero insoluti, e questi non hanno a che fare con la crisi dei debiti sovrani che è effetto, non causa, della crisi. Gli eurobonds, dunque, non assicurerebbero né una discesa significativa degli spread sovrani, né la soluzione delle cause di fondo della crisi. Non è a caso la Germania li rifiuta vedendoli come un cappio che la legherebbe all’annegante resto d’Europa.

sabato 26 maggio 2012

Il “De Grauwe moment”: una previsione lungimirante della crisi di bilancia dei pagamenti dell'Eurozona


(Ringrazio gli amici de Voci dall'estero e Istwine per la traduzione dall'inglese, e un lettore attento per la segnalazione di un mio frettoloso taglia e cuci nel Box)

Sergio Cesaratto

In un articolo sul Financial Times scritto un anno prima dell’avvio dell’Unione Monetaria Europea (UME),  Paul De Grauwe avanzò un’ipotesi lungimirante su ciò che sarebbe potuto accadere come conseguenza, cosa di cui  la maggior parte degli economisti si sono resi conto solo recentemente.[1] Infatti, con il senno di poi, la crisi Europea ci appare ora come l’ennesimo episodio di “stavolta è diverso”  (“this time is different”) della sequenza di liberalizzazioni finanziarie con tassi di cambio fissi, flussi di capitali dal centro verso la periferia, bolla immobiliare, disavanzo nel saldo delle partite correnti (CA) e indebitamento, default.  Nonostante consideri quello di Reinhart and Rogoff (2009) un resoconto mal organizzato della storia e della natura dei default, il loro titolo trasmette davvero la sensazione che si tratti di un modello ricorrente di una serie di eventi sfortunati. Anche il titolo di un importante paper ‘Good-bye financial repression, hello financial crash?’ (Diaz-Alejandro, C. 1985) riassume bene l’essenza di quegli eventi. Al fine di apprezzare meglio l’intuizione del Professor De Grauwe, presento il suo articolo con alcune note prese da un mio Working Paper appena pubblicato fra i Working Papers del mio dipartimento Controversial and novel features of the Eurozone crisis as a balance of payment crisis”.

mercoledì 23 maggio 2012

De Grauwe moment: an impressively prescient prediction of the Eurozone balance of payments crisis


Pubblichiamo un nostro pezzo uscito su Naked Keynesianism (in attesa di traduzione). Segnaliamo anche il nostro working paper appena pubblicato (link poco più sotto).

Sergio Cesaratto
In an article in the Financial Times written one year before the onset of the European currency union, Paul De Grauwe presented a farsighted conjecture of what could follow, something most economists have only recently realised.[i] Indeed, with the benefit of hindsight, the European crisis appears now as the nth ‘this time is different’ episode of the financial liberalisation sequence cum fixed exchange rates, capital flows from the centre to the periphery, housing bubble, current account (CA) deficit and indebtedness, default. Although I find Reinhart and Rogoff (2009) to be a poorly organised account of the history and nature of defaults, their title really conveys the sense of a recurring pattern of unfortunate events. The title of a seminal paper ‘Good-bye financial repression, hello financial crash?’ (Diaz-Alejandro, C. 1985) also sums up the essence of those events. In order to better appreciate prof. De Grauwe’s insight I introduce his article with some notes from a just published WP of mine “Controversial and novel features of the Eurozone crisis as a balance of payment crisis”.

mercoledì 9 maggio 2012

Born In The U.S.A. – MMT e Sovranità Monetaria (traduzione italiana)


 Voci dall'estero ha cortesemente tradotto il precedente post. La traduzione spagnola è in Circus. In questo momento il pensiero non può però che tornare a Randy e alla terribile disgrazia che ha colpito lui e i suoi figli. E' questo il momento della meditazione e della solidarietà attorno alle speranze che ci accomunano e alla nostra fragilità. Mi compiaccio solo che il tono dell'articolo sia pacato e costruttivo, come dev'essere. Forza Randy!
 Born In The U.S.A. – MMT e Sovranità Monetaria
di Sergio Cesaratto
L'assenza di una vera banca centrale Europea che garantisca la liquidità dei debiti sovrani Europei ha aggravato la crisi (anche se non ne è stata la causa), portando a una salita vertiginosa degli spreads sovrani. Come conseguenza del comportamento carente della BCE, secondo De Grauwe (2011: 8-10), il debito pubblico della periferia è passato da un basso ad un elevato livello di rischio, trasformando, a suo dire, una crisi di liquidità in una crisi di solvibilità. Questo non è del tutto corretto, poiché sin dall'inizio i problemi della periferia Europea sono apparsi come problemi di solvibilità, non solo di liquidità, e in effetti sono emersi quando la liquidità era abbondante e gli spreads sovrani ancora bassi. Secondo Wray e i suoi compagni MMT questa abbondanza ha solo ritardato il redde rationem della carente costituzione monetaria dell'Eurozona (EZ), visto che essi attribuiscono una rilevanza quasi esclusiva, nella spiegazione della crisi finanziaria Europea, alla rinuncia ad una banca centrale nazionale sovrana.

domenica 6 maggio 2012

Born In The U.S.A. – MMT And Monetary Sovereignty

E' giunta questa notizia su FB immagino da Stephanie Kelton per cui mi pare opportuno interrompere ogni polemica per ora ed esprimere tutti un pensiero di solidarietà e affetto per Randy Wray che è una cara e generosa persona.
I suppose it is time to share this sad news. The MMT family has lost someone very special to us, and we are all reeling from it. Randy Wray's wife, Shona Kelly Wray, died yesterday after suffering a brain aneurism. It is time for the MMT community (big tent) to come together and stop bickering over things that matter very little in life. -Stephanie
 

Un importante blog ha trasformato un mio commento in un post che solleverà certamente un vespaio essendo assai critico dell'MMT. I miei lettori mi avevano chiesto una opinione. Eccola. Ma questo non significa che dell'MMT sia tutto da buttare, tutt'altro. Liberato dal Beppe Grillismo e dal massimalismo (e da una certa ripetitività ossessiva, aggressività e supponenza) vi sono molti insegnamenti utili, di cui solo in parte ha la paternità invero, che gli economisti eterodossi hanno introiettato andando avanti nella ricerca (chi desidera approfondire veda Lavoie 2011). Grazie Ramanan!

Traduttore in italiano cercansi.

(come atteso su FB c'è un furioso dibattito nel gruppo degli MMT https://www.facebook.com/#!/groups/mmt21/ e c'è chi mi scrive - anche autorevoli colleghi stranieri esperti di moneta - apprezzando di aver gridato "il re è nudo")


by RAMANAN on SUNDAY, 6 MAY 2012 
In my previous post on government defaults and its connection to open economies, I had a comment from Sergio Cesaratto (who is full professor of Economics at the University of Siena (Italy)) which I liked. Since I don’t publish comments, I asked him if I could promote it to a post and he sent me an updated version which looks more like a post. I am publishing it as it is except for some formatting. – Ramanan

Born In The U.S.A. – MMT And Monetary Sovereignty

Sergio Cesaratto
 The absence of a truly European central bank to guarantee the liquidity of the European sovereign debts aggravated (although it not originated) the crisis by letting the sovereign spreads to spiralling upward. As  consequence of the ECB deficient conduct, according to De Grauwe (2011: 8-10) the periphery’s public debts (PD) moved from a low risk to a high risk equilibrium, in his view from a liquidity to a solvability crisis.  This is not totally correct since the original troubles with the European periphery seem solvability, not of just of liquidity, and indeed it emerged when liquidity was abundant and the sovereign spreads low. According to Wray and his MMT fellows this abundance just delayed theredde rationem of the deficient Eurozone (EZ) monetary constitution, so that they attribute an almost exclusive relevance to the renunciation to national sovereign central bank (SCB) as the explanation of the European financial crisis.

martedì 1 maggio 2012

La reforma del banco central en Argentina y el desarrollo económico PDFImprimirCorreo
Intervista all'economista eterodosso (Sraffiano) argentino Alejando Fiorito sulla recente indipendenza della banca centrale argentina, da Econonuestra, http://econonuestra.org - un sito di economisti eterodossi e studenti spagnoli (da seguire!). Volontari che traducano in italiano cercasi!
Domingo, 29 de Abril de 2012 15:11

Fuente: soscheque.
Alejandro Fiorito, Economista docente e investigador de Universidad Nacional del Lujan, y del CIGED-UNSAM
La idea convencional sobre la independencia de los Bancos Centrales, nunca tuvo asidero real en ningún lugar ni época. Simplemente en años de neoliberalismo se adoptó esa restricción ideológica en la Argentina en línea con la emulación de la banca en los países de centro actuales por medio de la “recomendación” de los organismos internacionales. En efecto en 1992, en la década del “Washington Consensus”, Cavallo, el ministro de economía de Menem que consolidó el camino desindustrializador iniciado por el dictador Videla, “reformó” la carta orgánica del banco central argentino, quitándole atribuciones para hacer política monetaria. Nos quedamos peleando contra Tyson, con una mano atada…
Tan es así, que la Argentina llegó a protagonizar en un verdadero experimento denominado “convertibilidad”, similarmente aunque no igual, al experimento del Euro: ató al peso a una moneda externa (dólar). Como caso experimental también, se llegó en ese periodo a vender las reservas de petróleo y toda la empresa nacional YPF, ¡sin haber perdido una guerra!!
Y los Estados por definición histórica, han surgido y creado con su poder desde el siglo XV en adelante, a sus ejércitos y a su propia moneda. El poder estatal de decidir su propia moneda se destazó con las ideas neoliberales de la Argentina en los 90.
¿Y cuáles son las consecuencias de perder soberanía monetaria?
De resultas que existen tres tipos de países en el mundo, con respecto a sus monedas y sus posibilidades de entrar en crisis de pagos de sus deudas externas:
1) Países que no entran en crisis de pagos con ningún tipo de deudas independiente de cómo estén nominadas, como el caso único de EEUU, cuya moneda es mundial; 2) el caso de la mayoría de los países del mundo, tan disimiles como Paraguay, Rusia, Argentina, China, Bolivia etc. que sólo pueden entrar en crisis de pagos de su deuda, si ésta se encuentra nominada en moneda externa; y 3) los países que entrarían en “default” de su deuda en cualquier moneda, ¡Aún la propia! Como es el caso de los países del Euro. No verán en la historia crisis de deudas en monedas domésticas, cuando es el Estado el que controla vía su Banco Central, la emisión de la misma. Claramente los mercados saben pragmáticamente diferenciar lo que los “economistas alquimistas” marginalistas no hacen con sus erradas teorías, al ver a Europa como un “Área monetaria optima”. Y por eso independientemente de cotizaciones, saben de la inexistencia de los “Estados Unidos de Europa” y jamás tendrían igual confianza vg. en una deuda de un país de la periferia del Euro, versus una deuda en yenes. La diferencia es que existe un Estado de respaldo (no el oro) detrás de dicha moneda, con una Banca Central para dirigir una política monetaria. El Euro no tiene un Estado detrás (muchos y ninguno), sus países constituyentes no son provincias de uno. Existen multiples balances de pagos cuando debería haber uno sólo, para que el esquema del euro sea sustentable y permita el crecimiento. Sólo países que fueron conquistados militarmente o algunos “fallidos” han adoptado la moneda de otros países. De lo contrario es un verdadero experimento histórico.
Es decir que si se desea mantener al Euro como institución europea, se necesita un BCE que funcione como tal y transforme el Área Euro en los “Estados Unidos de Europa”.
¿Qué se aprende de la historia?
Lo que la historia enseña, es que intentar copiar lo que sucede en los países desarrollados para aplicar en los países no desarrollados, es bien una confusión o un intento de mantener el status quo del subdesarrollo.
Se debe pues aprender de lo que dichos países efectivamente realizaron para desarrollarse en su momento–con los cambios institucionales de época correspondientes- con sus bancos centrales que desde el siglo XVII al siglo XIX tuvieron objetivos tan variados como el financiamiento de guerras y de proyectos de industrialización, con establecimiento de políticas comerciales, créditos subsidiados, sostenimiento de las deudas públicas, la creación de mercados financieros donde era necesario contar con un activo de riesgo nulo, etc. Solamente luego de su proceso de desarrollo económico exitoso, devenido en Estados de bienestar, es que la banca central empezó a ocupar un lugar estrictamente al cuidado del valor de la moneda.
Es fundamental comprender que dependiendo los requisitos del desarrollo, los bancos centrales se dotaron ad hoc de las posibilidades y herramientas necesarias para lidiar con ellos, por lo que no existe la idea de un banco central válido para todo tiempo y lugar.
¿Y para qué la reforma en el BCRA en la Argentina?
En el caso de la reforma de la carta orgánica del BCRA actual, simplemente se pone al día en pos de tener una herramienta fundamental para dejar atrás el camino de un Estado ausente para con los objetivos de desarrollo.
En la Argentina, con la crisis de 1930, cuando Inglaterra “suelta la mano”, la economía no podía continuar siendo el “granero del mundo” e importar el 70% de los productos industriales ingleses.
Comienzan unos 46 años de políticas de desarrollo: sustitución de importaciones, control de cambios, subsidios a la industria, nacionalización del comercio, aranceles adecuados a una industria naciente, etc. Entre estas medidas surge en 1935 el banco Central, en punto a establecerse en el tiempo como el banco de bancos, para sostener el proceso sustitutivo de importaciones y la industria nacional.
Las posibilidades de acción para apoyar el desarrollo industrial argentino al liberarse de las ataduras institucionales ortodoxas superan ampliamente el mero pago de vencimientos de la deuda externa por reconsideración del monto “disponible” de reservas para dicho fin. Sería un despilfarro de reforma, cambiar la letra y quedarse en espíritu de una interpretación ortodoxa del banco central (creyendo en los fantasmas del sentido común) y considerar hacer domésticamente un “redireccionamiento del crédito” y nada más.
Al revés, la elevación de la productividad nacional por medio de un plan de inversión pública (trenes de carga, que en largas distancias reducen mucho los costos, caminos energía, petróleo, etc.), en la misma línea el financiamiento de la sustitución de importaciones y su vínculo directo, la promoción de exportaciones derivada del éxito de los primeros dos tópicos; la búsqueda de políticas de pleno empleo en el mercado laboral, el financiamiento subsidiado de políticas industriales relacionadas con el alivio permanente de la restricción externa, etc.
Otro mito ortodoxo y de causalidad nunca probada, es que la emisión de dinero genera inflación, óbice descontado del discurso convencional para limitar los recursos institucionales del BCRA. Existe claro está una correlación entre los precios y la cantidad de dinero pero en realidad, la suba del nivel de precios general se deriva de la suba de costos, que causa la convalidación de una emisión endógena para mantener la actividad económica sin sobresaltos. Los economistas que apoyan el sin sentido monetarista, suponen que las economías capitalistas tienden y transitan por niveles de pleno empleo de recursos, por lo que traducen la emisión como causa de un exceso de demanda o bien en una tasa de interés menor a una supuesta tasa “natural” sin inflación. La primera versión más difundida, se considera que el dinero cae de “helicópteros”, o en la jerga de la economía, el dinero es exógeno. Al contrario los bancos centrales solamente controlan la tasa de interés, mientras que las cantidades de dinero no pueden ser normalmente controladas por estos organismos.
El fantasma agitado en la Argentina por el convencionalismo económico, se refiere a la hiperinflación en los 80, dando por supuesto la causalidad monetarista que va de la “emisión descontrolada” por parte de autoridades monetarias dependientes del poder ejecutivo en el gobierno de Alfonsín a la suba de precios.
En realidad, el país estaba jaqueado por el pago de la deuda externa, por lo que se debía devaluar sistemáticamente para reducir el nivel de actividad y los salarios reales que crecían en dólares, y liberar dólares de importaciones que no se generarían por dicha merma. La resistencia salarial hacia que la puja distributiva volviera a elevar los costos salariales y esa lógica se convirtió en un circulo que derivo en una hiperinflación en el 86 y en el 89. En los 90, se controló la inflación limitando a dicha puja con una “hiperdesocupación” (que llego al 25%).
Romper esa errada lógica de sentido común convencional es la tarea actual usando ampliamente al Banco Central en la planificación del desarrollo. Por ende la modificación de su carta orgánica en contra del discurso omnímodo de los “buenos samaritanos” del centro que “patearon la escalera”, al decir del economista coreano Chang, servirá para objetivos específicos de la Argentina. Estos son fundamentalmente, el pago de intereses y capital de la deuda externa (que se vino haciendo de manera pragmática), financiamiento de proyectos industriales, al estilo banca de desarrollo; y de esa manera aliviar la restricción externa, que es la que históricamente jaquea a los países en desarrollo.Alejandro Fiorito, Economista docente e investigador de Universidad Nacional del Lujan, y del CIGED-UNSAM.
La idea convencional sobre la independencia de los Bancos Centrales, nunca tuvo asidero real en ningún lugar ni época. Simplemente en años de neoliberalismo se adoptó esa restricción ideológica en la Argentina en línea con la emulación de la banca en los países de centro actuales por medio de la “recomendación” de los organismos internacionales. En efecto en 1992, en la década del “Washington Consensus”, Cavallo, el ministro de economía de Menem que consolidó el camino desindustrializador iniciado por el dictador Videla, “reformó” la carta orgánica del banco central argentino, quitándole atribuciones para hacer política monetaria. Nos quedamos peleando contra Tyson, con una mano atada…