lunedì 10 settembre 2012

Un'ospite speciale

Facciamo il punto
di Daniele Cesaratto
(4° anno, Liceo Tasso Roma. L'articolo uscirà sul giornale scolastico)

Nelle sue ultime dichiarazioni il nostro Draghi nazionale ha dichiarato che la BCE sosterrà illimitatamente l'acquisto dei titoli di stato a breve scadenza dei paesi in difficoltà (purché si rivolgano al “Fondo salva-stati”, e accettino i soliti vincoli di austerità). Questo intervento abbasserà i cosiddetti “spread”, poiché l'acquisto dei titoli di stato da parte della Banca Centrale garantisce che il loro valore non scenda, provocando la crescita dei tassi d'interesse che gli stati (e quindi noi) devono pagare. Mario Monti, direttamente dalla riunione del Partito Popolare Europeo, col quale “ammette” di avere una «particolare affinità» (ma va'?), si dice molto soddisfatto di questo «passo avanti importante» (e già che c'è ricorda a tutti come sostenne l'ingresso di Forza Italia nel Ppe nel '94 per via dell'affinità ideale tra i due partiti).
Per capire perché questo intervento servirà a ben poco bisogna innanzi tutto chiarire un equivoco: questa non è una crisi del debito pubblico, e la natura di questa crisi non è unicamente finanziaria.


In particolare, l'attuale crisi italiana, incominciata nel 2008 con la crisi della finanza mondiale, è stata protratta e peggiorata dalle manovre di austerità varate dal governo Berlusconi prima e dal governo Monti poi (ma del resto sono decenni che i governi di tutta Europa mettono a dura prova il “Welfare State”), le quali hanno avuto come ovvia e unica conseguenza il calo della domanda interna, con conseguente, storicamente noto, effetto domino sull'economia: meno domanda vuol dire meno produzione, meno produzione vuol dire meno introiti fiscali e meno occupazione, meno introiti fiscali vuol dire peggioramento della situazione del debito e meno occupazione vuol dire meno domanda, e via dicendo in un tunnel di recessione senza fine nel quale, senza cambio di politiche economiche, continueremo ad affondare inesorabilmente. Un'altra causa dell'attuale gravità della crisi è l'euro. Da un lato, ovviamente, perché la posizione “anti-interventista” dei vertici della BCE ha consentito ai tassi d'interesse di schizzare alle stelle facendo lievitare i debiti pubblici dei paesi periferici e non (e, come vedremo, forse non è un caso), dall'altro perché l'unità monetaria fra paesi economicamente eterogenei facilmente porta a delle crisi negli stati economicamente più deboli (qualcosa del genere accadde all'Argentina quando legò la propria moneta al dollaro, il che determinò il fallimento del paese 2002).
Nello specifico, la tanto temuta svalutazione della lira permetteva all'Italia di mantenersi competitiva con la Germania nonostante il maggiore tasso d'inflazione.
Inoltre la moneta unica ha favorito ingenti prestiti dai paesi più ricchi (principalmente Germania, ma anche Francia) verso i paesi più poveri che si sono tradotti principalmente in bolle edilizie (l'esempio della Spagna è lampante), e non in investimenti, dal momento che conducendo la Germania una politica mercantilista volta ad esportare moltissimo ed importare il meno possibile, mantenendo tassi d'inflazione minimi, i beni di consumo venivano (vengono) direttamente importati dalla Germania. Conseguenza di questa politica è che, quasi paradossalmente, i paesi più poveri si trovano a dover restituire ai paesi ricchi soldi che, in sostanza, sono andati ad acquistare merce esportata dagli stessi.
Concluso questo “breve” preambolo, torniamo all'intervento della BCE per l'acquisto di titoli pubblici a breve scadenza. Questo intervento andrà da un lato senza dubbio ad alleggerire la situazione della “parte finanziaria” della crisi, senza però risolverla radicalmente, e dall'altro, ponendo ulteriori vincoli ai bilanci pubblici degli stati, provocherà ulteriore disoccupazione e decrescita del PIL (l'ultima stima dell'OCSE per l'Italia è -2.4%). Tutto questo rientra nello scenario di “lenta agonia” alla quale coloro che conducono le politiche economiche europee stanno condannando l'Europa: Federico Caffè disse che se una politica sbagliata viene condotta per lungo tempo è perché fa comodo a qualcuno. In effetti, la crisi economica ha permesso di portare avanti le cosiddette “riforme” dello stato sociale, che puntano di fatto ad un regresso dello stesso verso i primi del '900, annullando tutti quei diritti che i lavoratori hanno ottenuto, lottando, nel tempo. Robert Mundell, neoliberista e nobel di economia (le cose non hanno chiaramente tra loro nessuna correlazione!), in una conversazione con un giornalista inglese ha sostenuto che l'euro non ha affatto fallito, ma anzi sta svolgendo esattamente il compito per il quale è stato creato: distruggere il welfare, i diritti dei lavoratori, e non da ultimo la democrazia. Citando lo stesso Mundell: “currency union is class war by other means” (“l'unione monetaria è lotta di classe con altri mezzi”).
Voglio rassicurare tutti quelli che diranno “Senza l'euro chissà dove staremmo ora!”. Staremmo probabilmente meglio.
L'unica soluzione restando nell'euro sarebbe un cambio radicale delle politiche europee (per quanto non risolverebbe ugualmente il problema del divario tra i paesi dell'Unione Monetaria), ma dal momento che nessuno può (o vuole) combattere il veto della Germania, la soluzione è uscire dall'euro il prima possibile, perché più durerà quest'agonia, più aumenterà la disoccupazione, peggiorerà la scuola pubblica, si abbasseranno le pensioni, chiuderanno le fabbriche, taglieranno la sanità, e più sarà difficile riprendersi quando l'euro scoppierà da sé.
P.s. Avete capito bene, il debito pubblico e la crisi non sono colpa della kasta kattiva ke prende trppixximi soldi in parlamento. Almeno, non dei loro stipendi. La ridistribuzione dei redditi è cosa buona e giusta, ma tagliare 'sti kastissimi privilegi senza neanche reinvestire in qualcosa di utile non serve a nulla.


* 4 anno, Liceo Tasso Roma. L'articolo uscirà sul giornale scolastico.

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