mercoledì 25 dicembre 2013

Il panettone tedesco

Mio articolo uscito il 24 dicembre su il manifesto qui. Con l'occasione, il mio paper su "Target 2 nell'ambito della crisi europea come crisi di bilancia dei pagamenti" è disponibile free sulla rivista Intervention qui. E naturalmente auguri cari a tutti.

***
Mario Pirani su La Repubblica del 22 dicembre attacca di nuovo gli “antieuropeisti” dipingendo a tinte fosche le conseguenze di una possibile rottura dell’euro e rinviandoci alla speranza di una rinnovata solidarietà europea che rilanci quella domanda aggregata senza la quale non v’è ripresa. Peccato tuttavia che le notizie che giungono dal fronte europeo siano di segno opposto.

lunedì 2 dicembre 2013

Il futuro del capitalismo



 Pubblichiamo mio intervento su Economia e politica.
Il capitalismo fra la pentola delle bolle e la brace della stagnazione
Sergio Cesaratto
Il presagio di una tendenziale stagnazione del capitalismo è stata avanzato in un intervento al FMI dall’eminente economista di Harvard ed ex segretario al Tesoro americano Larry Summers. Il funesto vaticinio ha scatenato molti commenti nella blogsfera internazionale ed è stato prontamente sottoscritto da Paul Krugman nel suo popolare blog sul New York Times e da Simon Wren-Lewis, un altro influente blogger e macroeconomista a Oxford. In sintesi Summers ha argomentato che il capitalismo può evitare una stagnazione secolare solo se riesce a riprodurre bolle borsistiche o immobiliari simili a quelle che l’hanno sostenuto nel recente passato, sfociate tuttavia nella crisi finanziaria. Come in altre occasioni durante la crisi gli economisti mainstream si accorgono tardi e maldestramente di ciò che gli economisti critici da sempre denunciano.

domenica 10 novembre 2013

Krugman e Vianello sulla deflazione

Paul Krugman ha pubblicato un ottimo post in cui argomenta che la mossa anti-deflazione dei prezzi di Draghi è la miglior prova che la presunta ripresa è una invenzione per gli allocchi e che la paura è la deflazione (grazie al mio amico Bergamini per la segnlazione). Naturalmente senza una politica fiscale espansiva a livello europeo e in particolare in Germania le armi di Draghi sono spuntate.

Uno splendido articolo di Fernando Vianello (con Anna Simonazzi) del 2003 su il manifesto appare di strordinaria attualità. Scritto in un momento in cui la parola deflazione fece capolino, Vienello spiega perché essa sia una sciagura. Ma allora perché, egli si domanda, gli economisti conformisti (fra cui, ahimé, v'è anche Krugman) si sperticano a predicare nelle università che la diminuzione dei prezzi è cosa buona e giusta? E' che hanno la memoria corta, e hanno ritenuto la deflazione evento dei tempi andati. Sul sito dedicato a Nando vi sono scritti splendidi. Dal classico "manifesto" della scuola scuola Sraffiano-Keynesiana
Il fascino discreto della teoria economica (con A. Ginzburg) ancora fondamentale per capire bene Keynes, al tenace riformismo radicale di  Bloccare il masso è già una conquista del 2007. E' importante che i miei giovani amici MMT e Economie M5S leggano queste cose per apprezzare come l'economia non-ortodossa abbia una storia gloriosa nel nostro paese. Vianello, per esempio, fu uno dei fondatori della Facoltà di economia di Modena nata (allora) in stretta relazione con le lotte operaie, le 150 ore (le ore di studio strappate dagli operai) e le ricerche di Sraffa e Garegnani - con una finezza intellettuale da cui oggi siamo lontani, ma che ci si dovrebbe sforzare di recuperare. Il che significa meno web, meno TV, meno protagonismo, meno narcisismo e più duro lavoro comune di studio.Abbiamo perso la fine intelligenza di Vianello nel 2009.
Godetevi il suo articolo
. Per vs. comodità copio Krugman dopo Vianello.

Il Manifesto 31 maggio 2003
Nostalgia dell'inflazione
Annamaria Simonazzi, Fernando Vianello
Gli economisti hanno la memoria corta. Ma quando due Banche centrali sono pronte a fabbricare
inflazione e la paura della deflazione corre più veloce di quella della Sars, è il momento di
rinfrescare le idee, di riavvicinare la teoria economica al buon senso. Dopo che per anni il
«pensiero» insegnato nelle università e tradotto dalle Banche ha visto nella diminuzione dei prezzi
la panacea di ogni male.

sabato 9 novembre 2013

Censure o sciattaggine de il manifesto



 Micromega on line ha pubblicato un articolo inviato una settimana fa a il manifesto ( detto anche lo Sbilanfesto) e, per correttezza, alla Roberta Carlini, oggetto della mia critica. Nonostante le mie ripetute richieste, nessuna notizia dal giornale (censura o sciattaggine?) e neppure dalla Carlini (qui maleducazione è il termine preciso oggi domenica 10, dopo una  settimana, mi ha cortesemente inviato una mail in cui ribadisce le proprie, legittime, posizioni). Perché al Foglio sono così gentili (opportunismo, cioè mi usano, o stile/educazione? l'educazione è di destra come dicono i miei figli? allora sono di destra). Qualcuno protesti col manifesto che, intanto, ieri (venerdì 8) pubblicava un indecente articolo di tal Tonino Perna, ribadendo la linea forza Europa. Mentre Storace si organizza per raccogliere le bandiere contro l'europeismo stupido. Grazie manifesto, grazie Carlini.

Anti-europeisti, non anti-europei
Sergio Cesaratto
In un suo articolo su Sbilanciamoci dal titolo significativo “Euro, l’uscita è destra”, ripreso anche dalla Newsletter del PRC e da Micromega, Roberta Carlini mostra di condividere le preoccupazioni di Enrico Letta e di Eugenio Scalfari (Repubblica di domenica) circa il pericolo che il prossimo Parlamento europeo veda una forte presenza di forze anti-euro il cui “segno dominante” sarebbe populista e di destra.

venerdì 8 novembre 2013

Populista sarà lei. La ragionevolezza dei movimenti anti-europeisti



Pubblichiamo articolo uscito su Il Foglio. Qualche affermazione farà discutere: "i servi fanno gli interessi dei propri padroni" andava forse articolata in "i servi possono finire per essere conniventi agli interessi dei loro padroni", ma lo spazio è tiranno. Ci torneremo. Un articolo analogo inviato a il manifesto dopo una settimana non è stato pubblicato. Oggi ne hanno uno di tal Tonino Perna che scagiona Merkel ed Europa. Buon per loro.

Populista sarà lei. La ragionevolezza dei movimenti anti-europeisti
Sergio Cesaratto

Uno spettro si aggira per l’Europa, quello dei movimenti anti-europeisti. Enrico Letta ed Eugenio Scalfari (La Repubblica 3 novembre) li hanno tacciati di populismo, mentre l’ex vice-direttrice de il manifesto, Roberta Carlini, li ha bollati come irrimediabilmente di destra (Micromega on line). Silvano Andriani (l’Unità 4 novembre) si è accodato alla denuncia del pericolo, non mancando, naturalmente, di criticare la deriva neoliberista di governi europei e della sinistra e suggerendo che una correzione di rotta ideologica può riportare l’Europa su un binario di crescita solidale. Purtroppo le questioni europee sono più complicate di un mero scontro ideologico fra, diciamo, liberisti e sociademocratici. E’ uno scontro fra interessi nazionali diversi. Magari non dei popoli, ma certo delle élite.

martedì 5 novembre 2013

L'audizione a 5 Stelle e altro

Tre comunicazioni di servizio:
1) Il video del dibattito ieri con i "cittadini" M5S è qui:
http://webtv.camera.it/evento/4237. (sono circa a 1h e 25 minuti)

2) Lunedì prossimo a Siena:

venerdì 1 novembre 2013

La disunione bancaria europea - in prima su il manifesto



Pubblichiamo un mio articolo sulla questione bancaria europea pubblicato in prima su il manifesto, che ringrazio di cuore.

La disunione bancaria europea
Sergio Cesaratto
Se qualche inveterato europeista avesse mai riposto qualche speranza in un progresso europeo nella direzione di istituzioni comuni adeguate alla ripresa della crescita dell’intera Eurozona, le vicende che riguardano la cosiddetta unione bancaria lo dovrebbero convincere definitivamente del contrario. La storia dell’unione bancaria non è di quelle che eccita passioni, eppure è centrale alle vicende della crisi.

lunedì 28 ottobre 2013

La matassa ingarbugliata dell'unione bancaria europea



Pubblico delle note didattiche per il mio corso di Politica ficale e monetaria dell'Unione Europea dedicate al tema dell'Unione bancaria. Non sono di facile lettura, nel senso che la questione è ingarbugliata e le informazioni spesso non di facile accessibilità. Questo passa il (mio) convento per ora. Se vi arrischiate a leggerele, tenete fermi i tre pilastri illustrati all'inizio, quelli vi fanno da riferimento.
La matassa ingarbugliata della Banking union
Sergio Cesaratto
Dipartimento di Economia Politica e Statistica – Università di Siena
Cesaratto@unisi.it
In June 2012, euro area leaders affirmed, ―it is imperative to break the
vicious circle between banks and sovereigns.… “ (IMF 2013: 20).

Avvertenza: queste sono note didattiche distribuite in quanto forse utili. L’esposizione è del tutto provvisoria ed è stata solo velocemente rivista.
1. Necessità di una unione bancaria
Un post di Daniel Gros (Gros 2013)– un noto economista europeo - spiega bene perché un’unione bancaria (UB) sia un pilastro essenziale di una UM ben funzionante. Un  post di Dolan (2013) spiega bene i meccanismi di una crisi bancaria e le possibile procedure di risoluzione.
Gros confrontava i meccanismi di gestione delle crisi bancarie del Nevada e dell’Irlanda. Ambedue gli stati avevano attraversato prima della grande crisi una bolla edilizia sfociata, appunto, in una crisi bancaria. Nell’un caso, tuttavia, la crisi è stata affrontata a livello federale, nell’altro fondamentalmente a livello nazionale. Nel primo caso lo stato del Nevada è rimasto fondamentalmente fuori della gestione della crisi – se non subendo le conseguenze economiche della fine del boom edilizio, ma questo è un altro discorso – mentre lo stato irlandese ha dovuto farsi carico del salvataggio delle proprie banche entrando a sua volta in crisi (per cui la crisi bancaria si è trasformata in crisi sovrana) e necessitando di una sostegno europeo (di cui tratteremo nel cap. 10), tanto più non disponendo di una BC sovrana dotata, per definizione, di un potere illimitato di finanziare la spesa pubblica. Non potendo godere di un sostegno diretto della BCE, questa è intervenuta a sostegno del debito pubblico irlandese (e degli altri paesi periferici) attraverso un’ampia disponibilità di liquidità a favore delle banche locali (l’operazione LTRO) le quali l’hanno impiegata per sostenere i titoli del debito sovrano nazionale – non per buon cuore, evidentemente, ma perché attirate dalla differenza fra il basso costo della liquidità e gli elevati rendimenti dei titoli. Questo ha creato un circolo vizioso, un abbraccio mortale, fra stati in crisi per aver sostenuto banche fallite, e banche fallite che sostengono stati falliti. Spezzando da principio ogni coinvolgimento dello stato locale nella crisi bancaria, il modello americano evita questa situazione.

domenica 13 ottobre 2013

Imprenditori arrabbiati



La piccola imprenditoria non ce la fa più. A Belluno la Camera di commercio ha organizzato un incontro di imprenditori a cui ha invitato un esponente MMT ed è stato proiettato un mio breve video. A Roma altri piccoli imprenditori di Reimpresa (che ha migliaia di associati) ha cercato di radunare le associazioni che si battono contro l'euro. Questo il mio intervento, forse il più moderato dato il clima, ma temo molto l'isolamento in cui possono cadere queste iniziative. Ma nel momento in cui si parla di tagli di oltre 3 miliardi alla sanità, veramente la misura comincia a essere colma.
Intervento integrale all’incontro di Reimpresa, Roma 13 ottobre 2013
Cari amici,
ieri mi sono letto ben tre documenti politici. Il documento congressuale di SEL, quello di Gianni Cuperlo e il documento economico  (“Documento dei 5 scenari”) predisposto da alcuni militanti qui presenti e indirizzato ai parlamentari M5S (che mi risulta l'abbiano più o meno ignorato). Sui primi due presto detto: il vuoto totale. Infarciti di chiacchiere, e naturalmente SEL è più brava in questo. Nessuna analisi seria e concreta sull'Italia e l'Europa. Un vero documento di un partito della sinistra spenderebbe una sola riga all'inizio per ribadire che la giustizia sociale e piena occupazione nella libertà sono gli assi centrali del partito da perseguire, aggiungerei, con riguardo particolare per il nostro popolo in un ambito di cooperazione internazionale, per poi andare giù pesanti nelle analisi e nelle prospettive di lotta e di governo. Il senso dei due documenti è in una frasetta che Cuperlo scrive all'inizio: Quello che per loro contava nella Terra Promessa non era la Terra, era la Promessa. Esatto, i quei documenti c’è molta Promessa e niente Terra. Le speranze di Vendola insomma, quelle che Bagnai racconta in un aneddoto nel suo libro. Fui io in realtà a narrargli che mi trovai a rimproverare Vendola di non aver toccato il disastro dell’Europa, al che lui che mi rispose che doveva vendere speranze - che definire chiacchiere è più preciso. In queste chiacchiere camuffate per grandi ideali risiede un tremendo bisogno di ritrovare e di riaffermare la propria identità perché al di là di esse non si è nulla, non si esiste. A me questi fanno persino un po' ribrezzo e mi danno un senso si sfiga. E guardate che non sono un anti-PD a priori. Anzi chi dà loro del ladro in Parlamento così facilmente, e su un tema come quello del finanziamento pubblico ai partiti su cui sinceri democratici come me sono d’accordo pur con controlli e limiti, offende milioni di onesti elettori di quel partito.

mercoledì 9 ottobre 2013

Intervista a Ernesto Screpanti

Su gentile proposta del prof. Screpanti pubblichiamo una sua intervista. Buona lettura



Intervista a Ernesto Screpanti sull’imperialismo contemporaneo
di Michele Castaldo

È appena uscito il libro di Ernesto Screpanti L’imperialismo globale e la grande crisi. Lodevolmente, è stato pubblicato in edizione online scaricabile gratis. È un tentativo di spostare avanti, adeguandolo ai tempi, il dibattito sull’imperialismo. La globalizzazione sta realizzando una nuova forma di dominio imperiale nella quale il grande capitale multinazionale, attraverso il mercato, priva di sovranità e di autonomia politica le organizzazioni locali, i sindacati, i partiti e le istituzioni deliberative. La grande crisi del 2007-13 ha fatto esplodere le contraddizioni tra stato e capitale. Nello stesso tempo sta accelerando il processo di affermazione dell’imperialismo globale. Si configura come una crisi di transizione fra il sistema tardo-novecentesco delle relazioni e dei pagamenti internazionali e un nuovo sistema basato sul multilateralismo, su un Super-Sovereign Currency Standard e su una forma del tutto inedita del potere mondiale del capitale. Ho rivolto delle domande a Ernesto Screpanti per chiarire alcune questioni cruciali e per portare alla luce il senso in cui la sua analisi, che si presenta come altamente innovativa pur entro la tradizione marxista, ci permette di capire l’attuale fase dell’accumulazione capitalistica.

domenica 6 ottobre 2013

Economisti critici dell'euro e Michele Salvati su Radio Radicale - Riascolta

E' possibile riascoltare il dibattito sull'euro di ieri 5 ottobre con Bagnai, Brancaccio, Cesaratto, Borgi, Rinaldi e Salvati qui
http://www.radioradicale.it/palinsesto/2013/10/5
Nel palinsesto cliccare su:
Servizio sulla moneta unica a cura di Enrico Tata
Buon ascolto

mercoledì 2 ottobre 2013

I moniti della storia - una risposta a Franco Debenedetti



Pubblichiamo un articolo uscito su IL FOGLIO - una risposta a Franco Debenedetti sollecitata dagli amici che hanno promosso il Monito degli economisti. Con l'occasione, Radio radicale trasmetterà sabato 5 alle 15,30 quattro interviste a Michele Salvati, Alberto Bagnai, Emiliano Brancaccio e al sottoscritto sul tema dell'euro.
Risposta ai merkeliani e agli economisti che sposano la linea moralista (titolo redazionale)
Sergio Cesaratto
Siamo d’accordo con quanto afferma Franco Debenedetti (Il Foglio 27/09/13) nel suo commento al “Monito degli economisti” (Financial Times 23/9/13) che le vicende e leggi economiche non si ripresentano meccanicamente nella storia, la quale risulta da un intreccio complesso fra economia e scelte politiche. Si riafferma una banalità nel sostenere che, tuttavia, l’evocazione attenta degli eventi storici è fondamentale per avere una guida alle scelte correnti. E Debenedetti converrà con noi che le scelte politiche non possano svolgersi senza riguardo ad alcuni principi economici di fondo. Lo ammettiamo persino noi che non condividiamo la visione rigida dell’economia propria dell’impostazione neoclassica dominante e la vediamo invece come terreno entro cui ampia è la gamma di scelte politiche possibili, fra le quali prevarranno quelle sostenute dagli interessi più forti di gruppi sociali o di Stati.

sabato 28 settembre 2013

L’Europa è sfinita - recensione a D'Antoni e Mazzocchi

Pubblichiamo in versione integrale nostra recensione uscita il 24/9/13 su il manifesto. La versione pubblicata è un po' più corta (il che spesso la migliora!), e chi vuole leggersi quella è qui. Il titolo redazionale è incomprensibile, dunque qui lascio il mio.

L’Europa è sfinita
Sergio Cesaratto
Il libro di Massimo D’Antoni e Ronny Mazzocchi “L’Europa non è finita” (Editori internazionali riuniti, 2013, con una postfazione di S.Fassina) riflette tutte le contraddizioni dell’europeismo volenteroso della sinistra del PD. Esso è, infatti, costretto fra un’analisi della crisi (grosso modo) condivisibile e una visione speranzosa della sua evoluzione che manca di tenere in sufficiente conto il conflitto fra gli interessi nazionali che caratterizza l’Europa per quello che è rispetto a quello che si vorrebbe fosse. Nello spiegare la crisi dell’euro, troppo peso viene al riguardo attribuito alla condivisione da parte delle élite europee della visione “neo-liberista” del funzionamento dell’economia, visione che avrebbe permeato la costruzione della moneta unica: “La crisi deriva …da un difetto di disegno dell’Unione, che rispondeva a una visione inadeguata del funzionamento dell’economia, figlia di una precisa stagione ideologica” (p. 259). A onor del vero, gli autori non cadono nel mantra del “neo-liberismo” ripetuto a ogni piè sospinto e puntualizzano che la sola ideologia e quello che potremmo chiamare lo spirito del tempo non sono tuttavia [spiegazioni] sufficienti” e che “ i passaggi cruciali del processo di unificazione europea andrebbero ricondotti nella sfera della volontà politica ovvero dei rapporti di forza tra governi” (p.63). Più avanti (pp. 228-231) gli autori toccano la “questione tedesca” alludendo – forse senza la dovuta energia – alla profonda incompatibilità fra il modello mercantilista che il capitalismo tedesco si è scelto, e un’unificazione monetaria con un segno progressista (mentre ai tedeschi va benissimo lo stato di cose presente). Nonostante questo quadro negativo, il leitmotiv del volume è, tuttavia, che “rilanciare il progetto di integrazione europea e salvare il modello sociale europeo sono le due facce della stessa medaglia” (p. 29). Ma alla luce dell’assenza di forze in direzione di questo rilancio, questa rischia di apparire un’affermazione alquanto retorica, simile alle stucchevoli perorazioni del Journal of Social Europe più che a una analisi realistica. “Il progetto di integrazione monetaria europea e la distruzione dello stato sociale in gran parte del continente sono le due facce della stessa medaglia”, se la vogliamo dir tutta.

lunedì 16 settembre 2013

Intervista sull'euro


Pubblichiamo un'intervista sul portale economia.Leonardo.it, parte prima e parte seconda.Ringrazio Roberto Bosio.

Uscire dall’euro: senza unione politica non c’è unione monetaria, l’intervista a Sergio Cesaratto

16 settembre, 2013
sergio cesaratto

martedì 10 settembre 2013

The Great Pension Funds Swindle



Pubblichiamo articolo uscito su il manifesto (10/9/13) sul tema delle pensioni.
Rinazionalizzare le pensioni conviene
Sergio Cesaratto
Non c'è due senza tre. Dopo Argentina e Ungheria, anche la Polonia governata da un liberista ha rinazionalizzato il sistema pensionistico. Come raccontano le cronache di questi giorni, il governo di Varsavia ha obbligato i fondi pensione a trasferire forzatamente gli investimenti in titoli di stato del valore di 37 miliardi di dollari nelle mani del Tesoro, diminuendo di botto il debito pubblico di un valore pari all’8% del Pil. Con la debacle del sistema cileno di qualche anno fa - che però è una storia un po' diversa - la disfatta dell'offensiva contro la previdenza pubblica guidata una ventina d'anni fa dalla World Bank è completa. E pour cause. Quello che i primi tre paesi fecero ai tempi delle riforme fu semplicemente di trasferire la gestione del sistema pensionistico pubblico ai privati sicché, mentre il sistema restava fondamentalmente il medesimo, i suoi costi di gestione si accrescevano per la minore efficienza della gestione privata e dei profitti che questa intende lucrare. Per capire facciamo un passo indietro. E’ semplicissimo.
Nel sistema pensionistico pubblico gli enti mutualistici (come l'INPS per capirci) prelevano i contributi dei lavoratori (supponiamo 100 euro) e ne restituiscono altrettanti ai pensionati correnti (diciamo 98, con 2 euro che sono i costi di gestione del sistema pubblico che è molto più efficiente del sistema privato). I lavoratori sono consenzienti perché contribuendo oggi acquisiscono il diritto alla pensione una volta anziani.
Con le privatizzazioni operate nei tre paesi i contributi (100 euro nell’esempio) venivano devoluti ai fondi pensione i quali li investivano nel mercato finanziario. La promessa era che le pensioni future non sarebbero state più erogate dallo stato, bensì dal riscatto dei fondi investiti incluso il rendimento realizzato. Ma è proprio così? Intanto domandiamoci, gli enti mutualistici come fanno a pagare le pensioni correnti una volta che vengano meno i contributi (se questi vanno ai fondi pensione)? Ciò che accade è che il Tesoro emette titoli di Stato (per 100 euro) per pagare le pensioni correnti. E chi li compra? I fondi pensione coi contributi dei lavoratori. Insomma, prima della riforma i lavoratori davano 100 allo Stato e questo ci pagava le pensioni. Ora danno 100 ai fondi pensione che ci acquistano 100 di titoli di stato con cui quest’ultimo ci paga le pensioni. E’ cambiato qualcosa? Nella sostanza no: i 100 di contributi servono sempre a pagare le pensioni correnti - com’è nella logica di qualunque sistema pensionistico in cui chi lavora sostiene gli anziani - solo che fanno un giro più tortuoso. E in questo giro c’è chi ci perde e chi ci guadagna? Vediamo.
Lo Stato deve ora pagare degli interesse sui titoli che emette. Per esempio, a un tasso del 5% per erogare 100 di pensioni deve pagare 5 euro di interessi all’anno su 100 di titoli emessi. Chi si intasca gli interessi? Supponiamo che i gestori dei fondi attribuiscano il rendimento dei titoli ai lavoratori, è questo un guadagno netto per loro? No, perché nella veste di lavoratori o di pensionati (e nella vita capitano entrambi i ruoli) lo Stato chiederà loro 5 euro di imposte di più all’anno. Inoltre è molto probabile che dei 100 di contributi investiti in titoli di stato, i fondi pensione ne restituiscano ai lavoratori quando andranno in pensione solo, diciamo, 80 o 90 euro, intascando il resto a copertura delle spese di gestione, marketing e profitti. C’è solo un vincitore, i fondi pensione che fanno la cresta.
Questi fatti erano chiarissimi già a fine anni 1990 a economisti come Stiglitz e altri. Si parva licet, chi scrive ha pubblicato una sfilza di contributi internazionali in merito. Meno chiari erano a presunti tecnici nostrani, Elsa Fornero in testa, una studiosa vicina a potenti interessi finanziari (ma incompresi anche da esperti di pensioni vicini alla sinistra radicale).
Gli economisti della World Bank, la principale paladina delle riforme, non erano così sciocchi da non vedere che si trattava di un gioco delle tre carte (un “shell game” lo definì un noto economista americano). Ma avevano un argomento di riserva. Con la riforma il debito pubblico cresce perché, come s’è visto, lo Stato si indebita per pagare le pensioni correnti. Nella logica del tanto peggio tanto meglio cui la World Bank faceva l’occhiolino, ciò avrebbe aperto la strada a riforme volte a ridurre altre voci della spesa sociale. Ma allora dov’è la sorpresa se a distanza di anni i tre governi hanno deciso di sgonfiare il loro debito pubblico inflazionato da una riforma balorda? "Il fatto eclatante - nota lo sconcertato Vittorio Da Rold su Il Sole 6/9 - è che i fondi pensione non saranno minimamente risarciti.” Ma il giornalista si dà da sé la ragione: il governo polacco ritiene, infatti, “che i bond siano stati acquistati con i contributi dei dipendenti che altrimenti sarebbero andati al governo." Il governo si riprende cioè titoli che appartengono ai lavoratori, e li cancella dal proprio debito, garantendo a questi ultimi le pensioni future, probabilmente più certe ed elevate, visto che chi ci rimette sono solo i fondi pensione che dovranno smettere di fare la cresta alle spalle di stato, lavoratori e pensionati.

sabato 31 agosto 2013

E' la crisi dell'eurozona una crisi di bilancia dei pagamenti? Is the Eurozone crisis a BoP crisis?

Parlatene male, ma parlatene.
Un po' di controversia internazionale - che mi aspettavo - sul mio paper su Target 2 e la crisi europea come crisi di bilancia dei pagamenti. Chi mi critica è (ops!) un MMT. Grazie al mio amico Ramanan (un noto blogger indiano) per la difesa della mia tesi, sia nei commenti a Plikington che nel suo ottimo blog Concerted action.Grazie naturalmente anche a Pilkington per l'attenzione.

CRITICHE http://fixingtheeconomists.wordpress.com/2013/08/31/can-a-country-without-a-currency-have-a-currency-crisis/
RAMANAN http://www.concertedaction.com/2013/08/31/balance-payments-crises/

Con l'occasione (e a proposito di India), il mio amico Bergamini mi segnala questa intervista di Jayati Gosh, una straordinaria economista indiana, il termine inglese "sharp" rende perfettamente l'idea. Utile e chiara sulla crisi indiana (e cinese).
http://www.spiegel.de/international/world/indian-economist-jayati-ghosh-warns-of-chaos-and-violence-a-919048.html#js-article-comments-box-pager

A little of international controversy - that I expected - on my paper on Target 2 and the Eurozone crisis as a BoP crisis. The critic is (ops) an MMT. Thanks to my friend Ramanan to take my defence both in his comments and in his blog. Thanks also to Pilkington, of course, for paying attention to my paper.

I take this occasion to suggest an interview to the always sharp Jayati Gosh from Spiegel on the current troubles in India (and China).

giovedì 29 agosto 2013

TARGET 2 and the Euro: two new working papers (uno in italiano)

Sono sul sito del mio dipartimento due nuovi miei working papers. Il primo sul TARGET 2 (in inglese), una questione complicata, controversa e fondamentale per la crisi europea. Peraltro la  mia posizione è per certi versi simpatetica con quella del più autorevole economista tedesco, Werner Sinn, e ciò susciterà qualche controversia con gli amici post-Keynesiani. Il secondo più divulgativo sulla crisi europea (in italiano) presenta alcuni riferimenti alla seconda edizione del Global Minotaur di Yanis Varoufakis. Il primo lavoro sarà pubblicato in versione definitiva da European Journal of Economics and Economic Policies: Intervention, 10, 2013 (3).Qui sotto abstract e link da cui potete scaricare il pdf.

Below you will find abstracts and links to two new WP of mine. The first is in English. TARGET 2 is a central and controversial issue in the Eurocrisis. In this regard, and perhaps unexpectedly, I sympathise with part of Werner Sinn's arguments. The paper will possibly spark off some debate with some post-Keynesian friend. The final version will be published by the European Journal of Economics and Economic Policies: Intervention, 10, 2013 (3). The paper in Italian is more divulgative and contains some references to the second edition of The Global Minotaur by Yanis Varoufakis.


The implications of TARGET2 in the European balanceof payment crisis and beyond

Abstract - The paper provides an account of the meaning and implications of TARGET 2 in the
Eurozone (EZ) balance of payments crisis. In this context, it discusses Hans-Werner Sinn’s thesis
about a stealth bail-out of the EZ periphery by the ECB from a heterodox perspective. Financial
liberalisation, a relatively loose monetary policy and the provisional fading of devaluation risks
generated ephemeral growth in some peripheral EZ countries sustained by capital flows from corecountries.
This has been followed by real exchange rate revaluation and deterioration of foreign
accounts. As a result, external financing flows dried up and the previous stock of loans began to be
repatriated. TARGET 2 has played a fundamental role in avoiding a precipitous crisis. This
distinguishes the European crisis from more traditional balance of payments crises. However, the
presence of TARGET 2 does not offset the absence of the financial crisis prevention and resolution
mechanisms that are characteristic of fully-fledged political and currency unions.

Quel pasticciaccio brutto dell’euro
Abstract
Il saggio illustra la spiegazione Classico-Kaleckiana della crisi dell’Eurozona domandandosi se essa sia un effetto indesiderato o possa, invece, rappresentare il dispiegamento dei veri obiettivi anti-sociali della moneta unica. Si esaminano poi le possibili vie d’uscita, inclusa quella di un massiccio “Piano Marshall” europeo di investimenti recentemente proposta dal sindacato tedesco. Quest’ultima soluzione ci appare inadeguata in quanto non tiene conto della più ampia dimensione della problematica della moneta unica e dei divergenti interessi nazionali in Europa. Altre due soluzioni – la più desiderabile via Keynesiana e quella, più densa di incognite, della rottura dell’euro – ci appaiono per ora non nell’ordine delle cose, a meno di un grave incidente che conduca dritti al secondo esito. Al momento la kossovizzazione della periferia europea appare come la prospettiva più probabile.

domenica 25 agosto 2013

Il caso argentino e l'Italia, un articolo di due economisti argentini

Due amici argentini han pubblicato su il manifesto (ah, se si decidesse a pubblicare sempre cose di questa qualità!) un articolo molto utile, ma anche con una tesi controversa. Si può naturalmente concordare che un sviluppo a colpi di svalutazione per mantenere un "tasso di cambio competitivo" può non funzionare come ci si aspetta. Non è detto che le esportazioni reagiscano - esse potrebbero dipendere dalla domanda estera, per esempio l'andamento del Pil cinese condiziona la domanda di prodotti agricoli argentini. Si importa, inoltre, inflazione, e ciò comporta un minore potere d'acquisto dei salari, ciò che può tradursi in una minore domanda anche per i prodotti nazionali. Tutavia, almeno per il caso italiano, se decidessimo che la perdita della flessibilità del cambio è irrilevante, di che staremmo a lamentarci? In verità soffrire di un tasso di cambio non-competitivo è anche un grave problema. La flessibilità del cambio consente a un paese di recuperare la maggiore inflazione - e dunque la perdita di competitività delle proprie merci - rispetto all'estero, cosa che il nostron paese non ha più potuto fare. Inoltre l'Italia si adopererò, come cha spesso suggerito Augusto Graziani, di mantenere stabile il cambio col dollaro, con cui paghiamo le importazioni energentiche, e svalutare con il marco, per recuperare competitività. Il dibattito è aperto.
 
Un keynesismo forte fa respirare l'Argentina
*Roberto Lampa e Alejandro Fiorito (nella foto a Buenos Aires)

Il Pil si assesta a un +6%, la disoccupazione scende dal 25 al 7%, la distribuzione del reddito è in costante miglioramento. E senza l'arma della svalutazione del peso.
Agitata a mo' di spauracchio dai sostenitori ad oltranza dell'austerità targata Unione europea o incensata come paradigma da imitare dal grillismo più radicale, l'Argentina occupa ormai uno spazio indiscusso nel dibattito politico italiano: «Faremo la fine dell'Argentina » o «Bisogna fare come l'Argentina » sono diventati così due aforismi, ricorrenti e perfino abusati, nella discussione sulla crisi economica in corso. Simili giudizi sono finora restati ad un livello d'analisi estremamente superficiale, scontando per di più l'utilizzo di lenti deformanti "primo-mondiste" con le quali sovente si tenta di osservare il complesso, e talvolta contraddittorio, continente latinoamericano, piegandolo alla stringente attualità nostrana. Tuttavia, una volta inquadrato nella sua specificità, il caso argentino può effettivamente contenere alcune indicazioni cruciali per il dibattito sullo stato (comatoso) dell'economia italiana ed europea.

martedì 20 agosto 2013

A sinistra dell’Europa



Pubblichiamo articolo uscito oggi (20-8) su il manifesto col titolo - inadeguato, mi sembra, rispetto ai contenuti del pezzo: "Il «bazooka» che Draghi non vuole usare". Draghi non decide queste cose! Ahi la sinistra! E se volete farvi salire la rabbia, leggete questo pezzo (in inglese) dallo Spiegel.
German Finance Minister Wolfgang Schäuble has every reason to smile.
DPA
German Finance Minister Wolfgang Schäuble has every reason to smile.

Un influente economista europeo, Charles Wyplosz è coautore di una proposta di una semplicità cristallina per cominciare a sdrammatizzare la crisi in corso (voxeu.org). In breve Wyplosz propone che la BCE acquisti un quarto dei debiti pubblici dei paesi europei periferici (Francia inclusa) pari a 1.200 miliardi di euro, circa un quarto del loro Pil. In sostanza, man mano che titoli del debito di questi paesi vengono a scadenza, la restituzione viene finanziata dalla BCE che in cambio ottiene titoli perpetui con un  tasso di interesse zero. Operazione quindi a costo zero per i contribuenti europei. Ma che fine fa la moneta messa così in circolazione?

giovedì 11 luglio 2013

Cari compagni tedeschi

Pubblichiamo la traccia del mio intervento al Forum economia della CGIL in cui alcuni sindacalisti tedeschi hanno presentato un loro "Piano Marshall" per l'Europa. La presentazione e il dibattito non hanno modificato i miei giudizi. I sindacalisti hanno enfatizzato di più il finanziamento via una patrimoniale (i cui proventi, ma non sono sicuro di aver capito bene, proverrebbero per il 50% dalla Germania) piuttosto che dalla Tobin tax. Ma la retorica su questa magica tassa che frena la speculazione e redistribuisce reddito non è mancata. Più interessante quando han detto che vedono il piano come un inizio di un bilancio europeo. Invece elemento pre-keynesiano l'idea che vi siano in giro capitali finanziari inutilizzati che solo attenderebbero opportunità di investimenti sicuri e redditizi come quelli offerti dal Piano DGB. (Da un punto di vista Keynesiano non esistono "risparmi" inutilizzati. Dato che sono gli investimenti a generare i risparmi, questi non hanno esistenza autonoma dagli investimenti che li hanno generati). Più pertinentemente Andriani ha suggerito che dovrebbe essere la BCE a finanziare il piano. Non è mancata la retorica tedesca sull'importanza di una uscita "solida" dalla crisi (insomma un intervento della BCE non è cosa solida), da niente nasce niente ecc. A volte sembrava che la CO2 e la green economy fosse il loro vero assillo, ma sono certamente, come al solito, troppo maligno.

giovedì 4 luglio 2013

A Zapping su Letta millantatore

Nuovo intervento a Zapping (Rai Radio 1) dell'ottimo Giancarlo Loquenzi. Circa al 19o minuto (dopo il ministro Mauro). Presente anche Oskar Giannino che sono stato tentato di chiamare dott.Giannino... Parlavo prendendo il bus da Siena a Roma, non proprio la situazione migliore.
Cliccare qui o qui (puntata del 3 luglio)


mercoledì 3 luglio 2013

La deroga supponente



Un amico, un tesoro di amico, Homo Aeserniensis, ci ha inviato una nota sulla supposta deroga al patto di stabilità. Pubblichiamo con la sua autorizzazione ma senza tagli che lui, persona educata, ci aveva chiesto con riguardo alla battuta da caserma. D’altronde è tipico degli economisti supporre questo o quello. Supponiamo, per esempio, di avere un supponente come Presidente del Consiglio…
La deroga supponente
di Homo Aeserniensis
Spero che a nessuno sia sfuggito il fatto che la supposta deroga al patto di stabilità sia una bufala. In realtà Letta non ha strappato nessuna particolare concessione all'Europa (a differenza della perfida Albione). ll margine dello 0,5% del Pil oltre il 3% di deficit esisteva già automaticamente per tutti i paesi fuori dalla procedura di infrazione. In ogni caso dovremo rispettare parecchie altre
condizioni. 

martedì 2 luglio 2013

I polli di Renzo e l'aquila tedesca


 Pubblichiamo articolo uscito su il manifesto (un errore nel primo periodo è redazionale).

Opposizione a Berlino o l'Italia rischia tutto
Sergio Cesaratto
1.      Come recentemente denunciato da Giorgio La Malfa su Il Sole, nel governo e nel paese appare emergere una mesta rassegnazione a un futuro in cui ci si dovrà adeguare a standard di vita sempre più modesti e in cui l’emigrazione sarà il premio per i più bravi. Le contorsioni della politica, dalle fumosità di Enrico Letta, alle purghe del M5S, alle sparate di Berlusconi, testimoniano un mix d'impotenza e d'ignoranza, i polli di Renzo che si beccano fra di loro. Gli elettori percepiscono questo senso d’impotenza della politica e di qui l’esteso sentimento di anti-politica. Finché la politica aveva risorse da distribuire gli elettori italiani non si erano sentiti così diffusamente Soloni. Ma errato sarebbe concluderne, come si fa spesso soprattutto in area PD, che troppo si è sperperato nel passato per cui la crescita potrà solo tornare quando avremo tutti imparato a scialare meno. E’ un moralismo pernicioso che non porta da nessuna parte. Sostenere che se fossimo stati virtuosi come la Germania ora non saremmo nei guai è un ragionamento da “se mio nonno avesse le ruote”. E trascura il fatto che se tutti i paesi si comportassero come la mercantilista Germania solo l’apertura di mercati su Marte consentirebbe un generalizzato sviluppo export-led.  Le vere occasioni il nostro paese le ha probabilmente perdute quando mezzo secolo fa, per inadeguatezza della classe dirigente, i frutti del boom economico non furono utilizzati per indirizzarlo su un sentiero di sviluppo moderno e socialmente equo. Ma basta piangere, ognuno a modo suo, sul latte versato. Guardiamo ai problemi dell’oggi.

venerdì 21 giugno 2013

Intervista a Zapping2.0

Intervista sull'ascoltatissima Zapping duepuntzero, giovedì sera su Radio Rai 1. Cliccare sul Link e andare circa al 54esimo minuto.

venerdì 14 giugno 2013

Intervista su Il Foglio

 Pubblichiamo intervista uscita in prima su il Foglio. I toni sono stati un po' caricati. Continua intanto la surrealtà italiana: piani fantasiosi e ipocriti sulla disoccupazione giovanile, bisticci da polli di Renzo (o di Renzi?) su IMU e IVA, inutili dibattiti su riforme istituzionali.

Euro? Raus

L’economista Cesaratto invoca le maniere forti con la Germania. Altrimenti addio a Eurolandia

“L’Italia decresce a colpi di due punti percentuali all’anno, in poco tempo ci ritroveremo ai livelli degli anni 70, con costi umani e sociali enormi, la situazione si farà rapidamente drammatica. Alla Germania non importa se il sud dell’Europa va a fondo, il governo italiano non ha grandi idee da proporre in Europa e non sbatte i pugni. E insomma, uscire dall’euro è una soluzione estrema, ma se ne può cominciare a parlare”. Dice così Sergio Cesaratto, economista, professore all’Università di Siena, e osserva con preoccupazione il processo che la Corte costituzionale tedesca ha aperto contro il presidente della Banca centrale Mario Draghi, l’uomo che, dice Cesaratto, “finora con i suoi interventi ha salvato l’euro e l’Europa”. E’ notizia di questi giorni che il governo greco, al collasso finanziario, ha chiuso la tivù pubblica, la Rai di Atene, e ha licenziato d’emblée tutti i suoi 2.800 dipendenti.

sabato 18 maggio 2013

Il dibattito sulla diseguaglianza su radio radicale

Il dibattito del 13 maggio tenuto a la Sapienza è su Radio Radicale. Ovviamente da non perdere Massimo Pivetti che dà degli imbroglioni agli economisti mainstream, ma anche a quelli che si situano a mezza strada (anzi, dice, questi sono peggio; concordo).

http://www.radioradicale.it/scheda/379355/le-ragioni-delleguaglianza-una-discussione-sullalmanacco-di-economia-di-micromega-il-ritorno-delleguaglian

Con l'occasione posto il testo che avevo buttato giù in preparazione del mio intervento.



Nei miei cinque minuti vorrei ricordare i punti in cui ho ingaggiato una discussione sia sulla rivista che successivamente su Micromega on line. Circa la discussione con Reichlin, la sua tesi, semplificando, era che uno stato sociale invadente sia dal lato dei benefici che dei costi abbia disincentivato l’offerta di lavoro, il caso da lui evocato delle donne meridionali che non vanno a lavorare per un’imposizione troppo elevata sui salari per cui forme di defiscalizzazione dei salari incentiverebbero l’offerta di lavoro. Io penso che ci sia poco da commentare per il poco buon senso di queste posizioni, purtroppo assai influenti (altroché!) sulla sinistra. L’idea che vi sia una strutturale mancanza di posti di lavoro e che questa dipenda da problemi di domanda aggregata oltre che, in aree strutturalmente arretrate, da attive politiche industriali è estranea a questo approccio. I modelli a cui ci si rifà sono quelli marginalisti di piena occupazione. Che poi l’Italia soffra di troppo Stato sociale, a me sembra surreale, forse il mio collega ha la fortuna di non girare per ospedali o scuole pubblici.

sabato 11 maggio 2013

Cesaratto e Reichlin sulla diseguaglianza (da Micromega)

Rammentandovi l'appuntamento di lunedì (aperto a tutti), pubblichiamo più sotto la mia discussione con Reichlin pubblicata su Micromega. Rammento anche la discussione con Franzini pubblicata su Economia e politica, Micromega on line e su questo blog (qui e qui).

Le ragioni dell’eguaglianza”, incontro pubblico a Roma lunedì 13 maggio 2013

 
 
Il Dipartimento di Economia e Diritto della Sapienza Università di Roma ha organizzato un incontro pubblico il 13 maggio 2013, dalle ore 15 alle ore 18.30, presso la Sala del Consiglio della Facoltà di economia (Palazzina della Presidenza, secondo piano. Via del Castro Laurenziano 9).

La discussione, coordinata da Maurizio Franzini (direttore del Dipartimento), sarà introdotta dai contributi di Andrea Brandolini (Banca d'Italia), Daniele Checchi (Università Statale di Milano), Elena Granaglia (Università di Roma Tre), Massimo Mucchetti (senatore della Repubblica, Partito democratico).

Seguiranno gli interventi degli autori del volume: Nicola Acocella, Emilio Carnevali, Sergio Cesaratto, Paolo De Ioanna, Mauro Gallegati, Raffaello Lupi, Mario Pianta, Massimo Pivetti, Alessandro Roncaglia, Roberto Petrini, Michele Raitano, Pietro Reichlin.


Eguaglianza? Dipende

Dialogo fra Sergio Cesaratto e Pietro Reichlin
Da Micromega 3/2013 pp. 99-116
MICROMEGA: Con lo scoppio della crisi economica nel 2008 ha riguadagnato centralità anche in Occidente la questione sociale. Si è così ricominciato a parlare di povertà, diseguaglianze, equità, tanto nell'analisi delle dinamiche della crisi quanto in merito alle politiche necessarie a farvi fronte.
Non sempre però, anche all'interno del vasto campo della sinistra, con le parole equità, giustizia sociale, eguaglianza ci si riferisce a concetti condivisi “pacificamente” da tutti. Sono parole dal significato estremamente vago e sfuggente, che è bene precisare.

venerdì 10 maggio 2013

Lambrusco o prosecco, purché schietto.



 Il Foglio ci ha chiesto di partecipare al "Concorso di idee per farcela". Il pezzo è uscito sul giornale con un titolo redazionale (Cesaratto: ricordare a Berlino che si educa col bastone, ma anche con la carota) che non ci piace molto. Sicchè qui sotto conservo il mio.
Lambrusco o prosecco, purché schietto.
Sergio Cesaratto
Della domanda posta da Il Foglio, se vi è un minimo comun denominatore di idee e sentire fra centro-destra e centro-sinistra per cui un governo Letta possa condurre il paese fuori dal vicolo cieco, mi sento un po’ responsabile avendo scritto su queste colonne “non importa se il gatto sia bianco o nero purché…”, purché, appunto, si abbiano delle idee nuove. L’impressione è però che, al di là del mantra sulle “riforme di cui il paese ha bisogno”, non si sappia bene che pesci pigliare. Il vicolo cieco in cui ci si è cacciati è quello europeo, ma non solo.

domenica 5 maggio 2013

Fassina di lotta e di governo



Da l'Unità
Nei rapporti con l'Europa voltare completamente pagina
di Sergio Cesaratto e Lanfranco turci
Fassina all’Economia è una buona notizia, soprattutto se eviterà di cadere nella trappola della cooptazione. Dovrà prioritariamente fare in modo che dal governo e dalle altre istituzioni emerga un  discorso di verità sulla crisi, nel senso che questa non si potrà superare se non con una profonda  riforma delle istituzioni europee. La crisi ha infatti due dimensioni principali, ambedue europee.

venerdì 3 maggio 2013

Sul governo Letta



 Da Micromega on line. Enrico Letta mi sembra: <"Austerità"... tu chiamala se vuoi "lavoro">. Manco Forlani aveva il naso così lungo. (Per la cronaca, l'articolo non è stato pubblicato da il manifesto).
Il Berluskeynesismo non basta
di Sergio Cesaratto
In perfetto stile democristiano il neo Presidente del Consiglio Letta ha fatto numerose promesse, più o meno condivisibili - l’abolizione dell’IMU certo no in quanto avvantaggia soprattutto i ceti medio-alti. A essere benevoli la scommessa sembra essere quella di ottenere dall’Europa un allentamento degli obiettivi di bilancio sì da poter mollare un po’ i cordoni della spesa e, con un po’ di fortuna, arrestare il declino di reddito e occupazione. Anche Fassina ha sostenuto l’idea di andare con determinazione in Europa a rinegoziare il rigore fiscale. Tutto bene, dunque? Temiamo che si continui a sottovalutare la vera dimensione della crisi europea. Sebbene, infatti, le politiche di austerità siano state la riposta sbagliata alla crisi, e vadano dunque terminate, questo non è sufficiente se non è l’Europa nel suo complesso a dismetterle procedendo verso un insieme di politiche di segno opposto. Fare un po’ di Berluskeynesismo in un paese solo non ci porterebbe molto lontano. Prima ancora della sanzione europea v’è quella dei mercati finanziari in paesi privi dell’ombrello di una propria banca centrale. Che debba essere un economista di sinistra a ricordarlo è paradossale. Ma a essere malevoli, le critiche di Letta all’austerità sono solo di facciata, tant’è che in Europa ha promesso il rispetto del consolidamento fiscale. Come si possa far crescita in questo modo non è dato sapere. Berlusconi, dal canto suo, si accontenta di qualcosa sull’IMU da dare in pasto agli allocchi, tanto l’ira degli esodati e dei cassa-integrati si riverserà tutta sul PD.

martedì 23 aprile 2013

Tutti in Barca? Alla ricerca di una sinistra diversa



Pubblichiamo più sotto un mio intervento su Fabrizio Barca uscito su Micromega on line

Con l'occasione segnalo le interviste a Brancaccio, Pizzuti e me su Donne sul Web:
Cosa succede se l'Italia esce dall'Euro? 
Pizzuti: “L'euro o c'è per tutti o non c'è per nessuno” 
Brancaccio: “Default inevitabile se si resta nell'euro. Ma ogni previsione è azzardata” 
Cesaratto: “L'euro non si doveva fare. Sull'ipotesi di uscita dalla moneta unica si fa terrorismo” 

Infine questa importante iniziativa (aperta a tutti senza invito), che trae spunto anche dal dibattito fra Franzini e me (si veda su questo blog e su Micromega online):


Sapienza Università di Roma, Facoltà di Economia
Dipartimento di Economia e Diritto 
Lunedi 13 maggio 2013, ore 15-18.30
Le ragioni dell’eguaglianza
Una discussione sull’Almanacco di economia di MicroMega “Il ritorno dell’eguaglianza”
Facoltà di Economia, Via del Castro Laurenziano 9, Roma
Sala del Consiglio, Palazzina della Presidenza, secondo piano
Introducono
Andrea Brandolini, Banca d'Italia
Daniele Checchi, Università Statale di Milano
Elena Granaglia, Università di Roma Tre
Massimo Mucchetti, Senato della Repubblica
Intervengono gli autori
Nicola Acocella, Emilio Carnevali, Sergio Cesaratto, Paolo De Ioanna, Mauro Gallegati, Raffaello Lupi, Mario Pianta, Massimo Pivetti,  Alessandro Roncaglia,  Roberto Petrini, Michele Raitano,  Pietro Reichlin,
Coordina 
Maurizio Franzini,  Sapienza Università di Roma

 Buona lettura dell'articolo. Questa la sintesi di Micromega:

L’enfasi che il documento di Barca pone su un partito che mobiliti e organizzi conoscenze può contribuire a superare la tradizionale contrapposizione interna alla sinistra fra "visione" e "competenze". Nel testo risuonano tuttavia gli echi rigoristi della tradizione comunista: oggi più che mai sarebbe invece necessario fare i conti con la mancata assimilazione del pensiero keynesiano da parte del Pci.

venerdì 12 aprile 2013

Il Thatcherfesto

Mentre in prima pagina si dichiara anti-Thatcheriano, lo Sbilanfesto pubblica una risposta di tal Tonino Perna a Tiziano Cavalieri (un allievo di Garegnani) che avrà arrecato sollievo alla signora di ferro nei fuochi dell'inferno. Lo Sbilanfesto non si rivela solo confuso, ma pericoloso, filo-Montiano, o a esser buoni filo-Napolitano. Invito chi ancora lo compra a inviare lettere di protesta chiedendo più rigore e assumendo come riferimento gli economisti critici (come Pivetti, Antonella Stirati, Brancaccio, Zezza o, si parva licet, chi scrive) minacciando di smettere definitivamente di acquistarlo.

Cavalieri e Perna da Il manifesto 10 aprile 2013. Segue contro-replica di Cavalieri (dalla postazione da cui scrivo non so se pubblicata).

Caro direttore,
sul «manifesto» si legge tutto e il contrario di tutto, segno di uno spaesamento che lascia spaesati. Cesaratto scrive una cosa, Tonino Perna l'opposto . Non è il caso di metterli a confronto faccia a faccia? Detto questo, rilevo che Perna (vedi «il manifesto» di domenica 7aprile) si pone di fronte al debito dello stato nello stesso modo in cui si pone un'impresa (...). Perna ritiene che non si debba far ripartire la spesa pubblica come volano di una ripresa dell'economia. Devo notare che quando scrive così si trova in compagnia dei tagliatori di teste. Tuttavia se ne distingue proponendo una «ristrutturazione chiara e netta del debito pubblico» tessendo alleanze con gli altri paesi strozzati dal debito.

sabato 6 aprile 2013

Tirare a campare o tirare le cuoia? articolo su Il Foglio


Assai irritati con il manifesto che ha pubblicato la recensione a Bagnai non sul testo finale e con arbitrari ritocchi redazionali, e non pubblicando per giunta una mia lettera di protesta, chiediamo ospitalità a Il Foglio.

Tirare a campare o tirare le cuoia? L'eurodissoluzione vista dai saggi dell'SPD

Sergio Cesaratto
Mentre da noi prosegue il teatrino delle noccioline in cui si affida l’illusione di po’ di ripresa a una ventina di miliardi che non si sa né come distribuire né come reperire, la potente e socialdemocratica Fondazione Ebert traccia alcuni scenari per l’Europa che, questi sì, dovrebbero costituire materia di meditazione per la politica. Sulla scorta di una quindicina di seminari tenuti in varie capitali, quattro sono gli scenari descritti. Prima di riassumerli, vale la pena di osservare che nessuno contempla l’idea che l’austerità europea a noi impartita dai pro-consoli della Merkel avrà successo nel restituirci competitività e prosperità. Che rigore e crescita fossero incompatibili e che l’austerità avrebbe devastato il Paese denunciammo con pochi altri sin dai tempi della famigerata lettera della BCE e dell’insediamento di Monti. Continuamente voci si uniscono ora al coro. Tutti gli scenari danno inoltre implicitamente per scontato che le responsabilità di fondo sono nell’esistenza stessa dell’Euro, che mai avrebbe dovuto essere adottato da Paesi così disomogenei in assenza di istituzioni adeguate. E al riguardo l’Economist ha mosso ieri alla BCE la pesante accusa di non far nulla per aiutare l’Europa.

venerdì 5 aprile 2013

Diseguaglianza e crescita. Prosegue il dibattito con Franzini



Su E&P e su Micromega prosegue la mia discussione con Maurizio Franzini. Qui la mia contro-replica, che ha beneficiato di molti consigli da splendidi amici che ringrazio. Avrei potuto fare di meglio, ma si fa quel che si può.

Una contro-replica a Franzini
Sergio Cesaratto
Ringrazio anch’io Maurizio Franzini per le puntualizzazioni delle sue idee che, tuttavia, mi inducono a ribadire le mie perplessità. Sgombrando il campo da questioni marginali, il punto in discussione sono gli effetti della diseguaglianza sulla crescita. Tralasciamo anche ogni considerazione sulla desiderabilità della crescita. La mia tesi è che questa sia necessaria, privilegiando consumi sociali e rispettosi dell’ambiente. Tanto più che la “cautela” che Franzini nuovamente evoca se “crescita [sia] sistematicamente desiderabile, al punto da subordinare al suo perseguimento il giudizio da dare nei confronti della diseguaglianza”, non riguarda me che ritengo che crescita ed equità si sostengano reciprocamente. Così come non vale la pena soffermarsi sul fatto che gli economisti “eterodossi” della tradizione Classico-Kaleckiana trovano, ovviamente, la diseguaglianza immorale anche indipendentemente dagli effetti sulla crescita. Essi  ritengono però decisivo smentire la tesi “ortodossa” che una maggiore equità danneggi la crescita.

mercoledì 3 aprile 2013

Recensione al libro di Alberto Bagnai



 Recensione al libro di Alberto Bagnai, il manifesto, 3 Aprile 2013.

Quel salto mortale nel buio in nome di un'unica moneta
Sergio Cesaratto
Nel 1983 il manifesto bucò la notizia della morte di Piero Sraffa, rimediando poi maldestramente con un obituario di Federico Caffè che Sraffa, francamente, non comprendeva molto. Questo non fu un caso. I rapporti del giornale con l’economia critica sono, infatti, sempre stati tiepidi. Gli economisti critici tollerati, più che ricercati. A tutt’oggi le preferenze del giornale vanno più nella direzione della scuola di Caffè o di economisti “light” (“quelli che gli F35..”). Caffè era un valoroso compagno di strada del movimento operaio, ma non precisamente organico alla teoria critica dell’economia politica che pure dovrebbe essere cara alla tradizione intellettuale del giornale. Per Caffè la buona fede degli economisti di qualsiasi persuasione era fuori discussione, mentre per gli economisti “light” c’è sempre un’economia reale sana a cui si contrappone una finanza malvagia. Il lavoro analitico di distinzione fra teoria dominante e teoria critica è guardato con fastidio. Ambedue le visioni sono facilmente criticabili. Tutto questo dovrebbe essere analizzato nell’ambito del tormentato rapporto che la tradizione comunista italiana ha con l’economia politica, tradizione stretta fra il liberismo Amendoliano e la poetica Ingraiana. Sottolineata la distanza di Caffè dalla critica dell’economia politica, non ne va però sottaciuto il suo sforzo di riempire di riformismo pragmatico il vuoto che c’è nel mezzo. Non sappiamo cosa Caffè avrebbe oggi suggerito al Paese a fronte di un’Europa che lo sta trascinando nel baratro. Sui limiti della costruzione europea, sulle tentazioni egemoni della Germania, e sulla necessità di salvaguardare gli interessi dei lavoratori del nostro Paese si veda, tuttavia, il bel saggio di Mario Tiberi “Federico Caffè e l’Unione europea” (scaricabile dai motori di ricerca).
Nell’autunno 2012 il manifesto ha bucato il libro di Alberto Bagnai, Il tramonto dell’euro (Imprimatur editore 414 pp, 17€).

domenica 31 marzo 2013

Non importa se il gatto...basta che mangi il topo europeo



Articolo uscito ieri (sabato 30) su Il Foglio (e strillato in prima sul sito nel pomeriggio di venerdì). In fondo il metodo Napolitano è quello proposto nel pezzo. Sebbene dalle Commissioni da lui create non verrà fuori molto, anche se Giovannini non è sciocco, conosce la drammaticità delle cose. I miei amici più politici mi hanno imputato che la proposta corrisponde al suicidio del PD. I miei amici politici continuano a non capire la drammaticità dela situazione. Questo commento da un lettore fiorentino mi sembra molto bello:
"Vorrei esprimerle tutto il mio apprezzamento per la proposta di accordo politico da lei avanzata su 'Il Foglio': per la sua chiarezza, coerenza e assenza di ipocrisia. Soprattutto per la sua dignità intellettuale e nazionale (non nazionalista). Nella speranza che le sue precise analisi della situazione possano trovare accoglienza le invio un caloroso saluto"


Una proposta indecente
Sergio Cesaratto
Al centro del programma di qualunque governo vi dovrebbe essere il portar fuori il Paese dall’incubo economico di marca europea in cui è precipitato. Di questo non si parla. E se lo si fa, soprattutto da parte del centro-destra, è attraverso boutade e non godendo di grande credibilità politica interna e internazionale. Mentre il tema dovrebbe essere centrale per il centro-sinistra, codardia politica, difetto intellettuale e sottomissione a Napolitano fanno in modo che nulla esso dica, se non di generico, in questa direzione. Il M5S fa ormai rimpiangere i vecchi partiti con le sue idee confuse, l’arroganza degli atteggiamenti, la sua vena anti-democratica.

venerdì 29 marzo 2013

Le disuguaglianze degli economisti




Pubblico un pezzo critico uscito su E&P su alcune affermazioni di Franzini a proposito degli economisti eterodossi. Maurizio risponderà, probabilmente su Micromega on line. Segnalo anche un volume su cui ci sono contributi di Bagnai e me, oltre di noti economisti eterodossi fra cui Laski, mentore di Kalecki, ma anche di Koo, capo ricerca di Nomura noto per il concetto di "balance sheet recession":
Post-Keynesian Views of the Crisis and its Remedies, Edited by Óscar Dejuán, Eladio Febrero Paños, Jorge Uxo Gonzalez, To Be Published 2nd May 2013 by Routledge – 288 pages
Infine qui ci sono due video di due tavole rotonde sull'Europa a cui ho partecipato a Torino a inizio marzo, una bella iniziativa di studenti. A una presenti due noti economisti, Massimo Bordignon de La Voce e Andrea Terzi un post-keynesiano vicino all'MMT:
- Terza conferenza: "Tesoro, chi votiamo questa volta? Le istituzioni europee in crisi"
http://www.unito.it/media/?content=5943
- Quarta conferenza: "Tesoro, stasera si esce? Dentro o fuori dall'euro?"
http://www.unito.it/media/?content=5946
Mi sembra di averle cantate e suonate a quelli che lì ho definito gli euro-troppo.
E sorpresa di Pasqua, guardate qui: http://www.ilfoglio.it/soloqui/17555

Le disuguaglianze degli economisti
Sergio Cesaratto
Nel bel numero di Micromega di marzo (3/2013) dedicato alla diseguaglianza, pur in un comune sentire nei riguardi della crescente ingiustizia sociale che si è manifestata nelle decadi recenti, vi sono delle significative differenze nella maniera in cui la problematica è avvicinata. In particolare, nel suo saggio Maurizio Franzini accusa gli “economisti eterodossi” di sottovalutare il tema della diseguaglianza al pari degli economisti “ortodossi”. In un senso ha ragione, ma in un altro ha torto. Credo sia utile ai lettori un chiarimento su questo punto agevolandoli a discernere ancor meglio le diverse posizioni che la rivista ha cercato di veder rappresentate.