domenica 13 ottobre 2013

Imprenditori arrabbiati



La piccola imprenditoria non ce la fa più. A Belluno la Camera di commercio ha organizzato un incontro di imprenditori a cui ha invitato un esponente MMT ed è stato proiettato un mio breve video. A Roma altri piccoli imprenditori di Reimpresa (che ha migliaia di associati) ha cercato di radunare le associazioni che si battono contro l'euro. Questo il mio intervento, forse il più moderato dato il clima, ma temo molto l'isolamento in cui possono cadere queste iniziative. Ma nel momento in cui si parla di tagli di oltre 3 miliardi alla sanità, veramente la misura comincia a essere colma.
Intervento integrale all’incontro di Reimpresa, Roma 13 ottobre 2013
Cari amici,
ieri mi sono letto ben tre documenti politici. Il documento congressuale di SEL, quello di Gianni Cuperlo e il documento economico  (“Documento dei 5 scenari”) predisposto da alcuni militanti qui presenti e indirizzato ai parlamentari M5S (che mi risulta l'abbiano più o meno ignorato). Sui primi due presto detto: il vuoto totale. Infarciti di chiacchiere, e naturalmente SEL è più brava in questo. Nessuna analisi seria e concreta sull'Italia e l'Europa. Un vero documento di un partito della sinistra spenderebbe una sola riga all'inizio per ribadire che la giustizia sociale e piena occupazione nella libertà sono gli assi centrali del partito da perseguire, aggiungerei, con riguardo particolare per il nostro popolo in un ambito di cooperazione internazionale, per poi andare giù pesanti nelle analisi e nelle prospettive di lotta e di governo. Il senso dei due documenti è in una frasetta che Cuperlo scrive all'inizio: Quello che per loro contava nella Terra Promessa non era la Terra, era la Promessa. Esatto, i quei documenti c’è molta Promessa e niente Terra. Le speranze di Vendola insomma, quelle che Bagnai racconta in un aneddoto nel suo libro. Fui io in realtà a narrargli che mi trovai a rimproverare Vendola di non aver toccato il disastro dell’Europa, al che lui che mi rispose che doveva vendere speranze - che definire chiacchiere è più preciso. In queste chiacchiere camuffate per grandi ideali risiede un tremendo bisogno di ritrovare e di riaffermare la propria identità perché al di là di esse non si è nulla, non si esiste. A me questi fanno persino un po' ribrezzo e mi danno un senso si sfiga. E guardate che non sono un anti-PD a priori. Anzi chi dà loro del ladro in Parlamento così facilmente, e su un tema come quello del finanziamento pubblico ai partiti su cui sinceri democratici come me sono d’accordo pur con controlli e limiti, offende milioni di onesti elettori di quel partito.

Del documento dei 5 scenari mi sono piaciute alcune opzioni ideali, la piena occupazione e il welfare state in primis, segno di maturità democratica. E poi, naturalmente, la ricerca della concretezza delle soluzioni. Ci si prova almeno a misurarsi con la dimensione dei problemi. Questo è segno di una genuina chiave riformista. (Quando parlo di riformismo mi riferisco a quello storico e socialista di costruzione di diritti sociali, non a quello falso che quei diritti vuole smantellare). Della dimensione dei problemi quegli altri nemmeno hanno la consapevolezza, figuriamoci cimentarsi nelle risposte. Un rilievo di metodo: credo che dobbiate allargare il vostro spettro di economisti di riferimento tanto più che in Italia esiste e ancora a fatica sopravvive una tradizione di pensiero classico-keynesiana quale pochi paesi possono vantare. Basti pensare alla scuola di Piero Sraffa e Piero Garegnani, o alla tradizione della scuola di Modena che si costituì in una gloriosa facoltà universitaria nei primi anni settanta, anche sulla scorta della ripresa degli economisti classici e di Keynes da parte di Sraffa-Garegnani, per affiancare le lotte operaie e studentesche. Nel merito il documento dei 5 scenari cerca di prendere di petto la questione centrale che è così riassumibile.
Ormai è ampiamente riconosciuto che l’Unione Monetaria Europea è una riedizione del gold standard, un sistema monetario che nei paesi periferici è propiziatore di crisi finanziarie e incompatibile con la democrazia. Crisi finanziarie perché cambi fissi e liberalizzazioni finanziarie portano a movimenti di capitale destabilizzanti che, per esempio, generano bolle edilizie nei paesi periferici, indebitamento estero e crisi. Incompatibili con la democrazia perché la perdita di sovranità monetaria e il vincolo a politiche deflative – una volta passata la sbornia di eventuali bolle edilizie – impone politiche antisociali. Un’Europa diversa è possibile, forse, con istituzioni monetarie e fiscali più simili a quelle americane. E’ un’Europa che i tedeschi non vogliono, e forse dal loro punto di vista ciò è anche comprensibile. Il che fare non è però semplice.
Se la consapevolezza che la questione europea è esiziale per l’Italia si è accresciuta, anche per merito di tutti noi, essa non è, tuttavia, ancora un fatto di massa. Su questo dobbiamo stare attenti. Chiedevo la settimana trascorsa alla mia classe di politica economica europea (laurea magistrale) se avevano sentito parlare dell’MMT: 80 studenti, zero (zero) manine alzate (come vedete di MMT ne parlo a lezione, tanto per mostrare che non c’è faziosità dal mio versante). Purtroppo, a parte l’indifferenza, male endemico di un paese ignorante come il nostro, dominante è l’idea che i nostri mali ce li siamo creati da soli. E chi lo nega? Ma per noi non è questa la questione in questo momento. Quindi batterci contro l’austerità, batterci contro quest’Europa, contro quest’euro, contro i governi supini al padrone di Berlino continua a essere elemento portante della nostra battaglia. L’opinione pubblica deve essere condotta a porsi la questione: ma se l’Europa continua a dirci di no che si fa? Dobbiamo essere maieutici, indurre l’opinione pubblica a porsi i nostri medesimi problemi. Parole d’ordine non ben articolate ci possono isolare.
E, francamente, il problema dell’uscita dall’euro è questione né facile né risolta. Se l’uscita fosse questione semplice non avrei dubbi in merito, dato che non ripongo grandi speranze in quest’Europa. Naturalmente si tratterebbe di mettersi a studiare il che fare successivamente, ma sarebbe certamente un lavoro entusiasmante quello di cominciare a pensare a un’Italia diversa. Nessuno di noi nega, infatti, che il nostro paese abbia tare storiche che non si riducono a una classe politica incapace e spesso corrotta, come i semplificatori ritengono. V’è un continuum fra questa classe politica e chi l’elegge. L’anti-politica, oltre che dipendere dai bassissimi livelli di istruzione del paese – ma anche da cause strutturali come i bassi tassi di occupazione - semplicemente non c’era quando i politici avevano trippa da spartire con gli elettori. Cambiare questo paese con le sue arretratezze storiche, che coincidono in gran parte con la questione meridionale, non è cosa facile. Ma ci sono anche i punti di forza, a partire dalle piccole-medie imprese, se riusciremo a salvarle dall’attuale devastazione. Uscire dall’euro è facile a dirsi, dunque. Il documento dei 5 scenari è ben consapevole che l’apertura di un ampio dibattito democratico nel paese e di trattative internazionali – pur volte a una rottura consensuale che salvaguardi l’Unione Europea – scatenerebbe la speculazione finanziaria. Un bel ricatto di cui nemmeno il documento dei 5 scenari riesce a fornire una chiave risolutiva. La mia idea è che alla rottura quando ci si arriva ci si arriva, se ci si arriva. E ci si arriva se l’insostenibilità sociale delle politiche attuali si tramuta in una protesta di massa di cui, tuttavia, ancora non si vedono i segni. Il potere soporifero sull’opinione pubblica degli Enrico Letta - o, con tutto il rispetto, delle Susanna Camusso - ancora prevale. A noi il compito di dare la sveglia, di arrivare a quel punto in cui l’Europa dovrà prendersi le sue responsabilità di fronte al nostro popolo, e il nostro popolo di fronte a sé stesso.
Mi era stato chiesto di parlare di lavoro e impresa, e mi scuso se non sono stato precisamente in tema. Stamane, in contemporanea, alla Camera di Commercio di Belluno, la provincia del distretto degli occhiali per capirci, c’è un meeting di imprenditori sull’euro e il Presidente ha invitato un MMT a relazionare. Mi ha chiesto un breve video che è stato proiettato in apertura. Quando l’ha ricevuto era entusiasta. L’Italia che vorremmo non è quella del conflitto lavoratori-impresa che per anni ha esasperato il paese. Una sinistra conflittualista e demagogica ha le sue responsabilità in merito, ma la borghesia italiana, da ultimo anche quella della PMI, ne ha di più grandi per non essersi aperta alle istanze dei lavoratori, in particolare ai tempi del boom economico quando negli anni sessanta fu persa l’occasione storica di modernizzare il paese in direzione socialdemocratica. L’appoggio dato negli scorsi anni a Berlusconi o alla Lega è stato il segno ultimo di questa grave responsabilità politica. Ma a tutto c’è rimedio. In una moderna forza progressista impresa e giustizia sociale devono poter coniugarsi.
Non so in che direzione possa essere costruita, ma abbiamo bisogno di una forza politica nuova. Il M5S continua forse a essere un’occasione, solo che diventasse davvero un movimento politico democratico di massa (con una democrazia non umiliata e ridotta a internet). Voi sapete meglio di me quante chance esistono per un’evoluzione in questa direzione. Ci vuole però un salto culturale che sia anche capace di recuperare il meglio della tradizione democratica e socialista italiana alla quale, per dirne una, mancava e manca il keynesismo che per noi è invece ABC di massa. Dovremmo essere quello che la sinistra del PD vorrebbe essere contro alla politica da Bar Sport di Renzi, ma che non riesce a essere perché priva di concretezza riformista, di cui il keynesismo è componente essenziale. Ieri sera sentivo Letta a Venezia: è terrorizzato che alle prossime elezioni europee le forze anti-euro superino il 30%. Sarebbe bello dimostrargli che, almeno in Italia, non di populismo si tratta, come egli afferma, ma di forze veramente riformiste e, perché no, davvero europeiste.
Da parte mia posso arrecare l’apporto intellettuale della parte più solida degli economisti non-conformisti italiani, con la sua solidità e il suo radicamento storico nella parte migliore della storia democratica italiana (per dirne una, Sraffa era amico e mentore di Antonio Gramsci) e nel dibattito scientifico internazionale. Anche fra gli economisti ci vuole dunque capacità di ascolto e rispetto, senza che nessuno si arroghi la presunzione di avere verità rivelate in tasca. Di guru e gurini in questo paese ne abbiamo piene le scatole.
Riferimenti
- Per un’interpretazione del mancato riformismo e keynesismo della sinistra italiana la migliore analisi in assoluto è: L. Paggi e M. D'Angelillo, I comunisti italiani e il riformismo: unconfronto con le socialdemocrazie europee, Einaudi 1986, la cui chiave interpretativa è quella della scuola di Modena.
- e-book "Oltre l'austerità", a cura di S. Cesaratto e di M.Pivetti download gratuito da: http://temi.repubblica.it/micromega-online/oltre-lausterita-un-ebook-gratuito-per-capire-la-crisi/
- Per i documenti elaborati dai vari gruppi economia M5S e dintorni: http://economiaepotere.forumfree.it/?t=66556927


[1] Professore ordinario di Politica fiscale e monetaria dell’Unione Monetaria Europea, Università di Siena, e-mail: Cesaratto@unisi.it. I suoi interventi sulla stampa sono sul suo blog è http://politicaeconomiablog.blogspot.it/.

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